A Natale non si è tutti più buoni. Non sempre. E non per forza. A Natale nella stragrande maggioranza, si è spesso più falsi ed egocentrici: il Natale è la migliore giustificazione conformista che si trova per vivere una diffusa ipocrisia collettiva.
Premetto che questo mio scritto non ha nulla a che vedere con la religiosità della festa natalizia, che ognuno ha il sacrosanto diritto di vivere come meglio crede. Ma mi chiedo dove nasce sta smania di dover apparire, sottolineo apparire, felici gioviali, altruisti ?
Mi pare si sia affermata nei tempi moderni una sorta di dittatura della felicità che è stata efficacemente descritta da Z. Baumann “Mentre nell’antichità essere felici era un lusso concesso a pochi, in tempi recenti la felicità veniva considerata come un diritto universale. E oggi? “È un dovere. Sentirsi infelici provoca senso di colpa. Dunque, chi è infelice è costretto, suo malgrado, a trovare una giustificazione alla propria condizione esistenziale”.
Ma nell’era della (finta!) felicità da ostentare, sono in voga e si moltiplicano le iniziative caritatevoli, raccolta fondi, cena con il povero ecc., e la gente, ci sta, eccome se ci sta.
Ci piace renderci utili, fare, ogni tanto, un gesto gentile, qualcosa che metta in pace la nostra coscienza, ma raccontiamoci la verità scomoda, tutto questo essere buoni con il timer, forse segnala solo una diffusa grande falsità sociale, poiché – osserva Gaber – nella canzone Il tutto è falso in fondo degli altri “non ce ne frega niente”ed aggiungo io, per molti, se le persone disagiate ed ai margini della società scomparissero, sarebbe meglio.
Sarà perché io ho in odio gli auguri di Natale tanto per il farli che per il riceverli, fatto è che sono a dir poco stupefatto di vedere lo schermo del mio cellulare e la mia mail riempita di auguri, di GIF animate e cazzate varie, inoltrate all’universo mondo elettronico, grondanti sentimenti e vicinanza a buon mercato.
Qualcuno si chiederà se faccio tutto questo perché io non sono cortese e non amo i gesti cortesi? Ma nemmeno per idea. Della cortesia di quei gesti veri, quelli sentiti, ne faccio una religione, sia quando ho a che fare con gli ultimi, che quando dovessi avere a che fare con il Presidente degli Stati Uniti o il Papa in persona.
Detesto i cerimoniali obbligati, tipo quello di mandare via mail una riga con scritto “auguri”. Quello sì, quello mi fa veramente vomitare. Se ho un rapporto vero, solido con una persona, allora mi va di incontrarlo di persona, oppure gli scrivo qualcosa di sentito e di specifico.
Mi capitava sovente e, succede ancora adesso di ascoltare durante le festività nei supermercati, , moderni templi consumistici della socialità moderna, una inflazionata frase. “Da quanto tempo….., ci dobbiamo vedere una di queste sere!”. E’ chiarissimo che non ci sarà nessun incontro e nessuna serata futura, è solo una scenografica finzione di frasi fatte, privi di vera slancio , di vera gioia; con poche parole, lo spirito natalizio è stato salvato e tutti ci sentiamo perfetti e migliori.
Forse vi parrò esagerato, ma mi auspico che, in un devoto spirito natalizio forse un ottimo regalo sarebbe continuare a vivere, amarsi ed ad odiarsi esattamente come negli altri giorni, e non trascorrere questi giorni in questa inutile cappa di buoni e finti sentimenti tipo famiglia del Mulino Bianco e una personale prece, risparmiamoci il noto tormentone “A te e famiglia” come risposta agli auguri natalizi, sarebbe, anche solo questo, un iniziale ma auspicabile passo in avanti.
Rimaniamo umani e come ci ricorda una frase di Andrew Faber “Non sono le luci, non sono gli addobbi, non sono i regali, sono le persone, a fare il Natale“.